Il RIVAIO nei miei ricordi

Ragazzi del “dopoguerra”
Da qualche anno la rivista “Maria” dei padri maristi , con le sue pagine dedicate agli ex alunni mi ha risvegliato ricordi ormai sbiaditi. Chiudendo gli occhi in queste giornate di freddo e di pioggia rivedo la Valdichiana del dopo guerra ingombra di camion militari, campi di munizioni e di benzina, soldati che distribuivano a noi ragazzi scatolette e cioccolate; gli adulti guadagnavano qualche soldo lavorando per gli alleati che pagavano con le AM lire, strane banconote di forma quadrata..
In modo piuttosto avventuroso avevo finito le elementari ,nel giugno ‘46, e la maestra aveva consigliato ai miei genitori di farmi proseguire gli studi. Ma come? La scuola media più vicina era ad Arezzo, distante15 chilometri dal Borghetto di Alberoro.
C’era però Ugo Tenti che già l’anno prima era andato al Rivaio…e fu così che in un giorno di settembre del 46 i miei genitori mi consegnarono ai padri maristi, assicurandomi che ogni venerdì sarebbero venuti a trovarmi (un’ora di colloquio). Non riesco ad immaginare il dolore del distacco per me e per loro (ero figlio unico) ma debbo dare atto del coraggio avuto in vista del mio bene futuro: date le condizioni economiche modeste della mia famiglia, la mancanza di collegamenti con Arezzo e la distanza (qualche anno dopo sarei andato in bicicletta) quella era l’unica strada per non farmi terminare la scuola, cosa che a quell’epoca facevano il 90% dei ragazzi di campagna. La “retta” da pagare (lire 400 mensili) , seppur non trascurabile, era alla loro portata. E la vocazione ? la promessa di diventare sacerdote?
Non ricordo se all’inizio mi sia soffermato o meno sul problema che però divenne presto angoscioso.
Ero un bambino ubbidiente e ligio agli insegnamenti tanto che mi convinsi ben presto che la mia vocazione era quella di diventare prete confessandolo ai miei genitori nelle poche ore che trascorrevo con loro!

Come ricordo la vita al Rivaio

La chiesa
L’angolo riservato ai seminaristi era un po’ chiuso rispetto alla Chiesa: da lì si vedeva solo l’altare. In quelle panche di legno ci si trascorrevano diverse ore al giorno sia pure suddivise in ripetute visite. Le nostre ginocchia si erano indurite per il tempo trascorso inginocchiati. – Non meno di quattro/cinque volte al giorno salivamo e scendevamo in gruppo quelle scale che dalla “camerata”, dallo “studio” o dal refettorio portavano alla chiesa.
Certo tutto quello stare in Chiesa , tutto quel pregare in ginocchio , in silenzio e composti ad ascoltare i discorsi dei padri era stato , specie all’inizio, un esperienza dura.

Il refettorio
Un salone a volta cilindrica con poche aperture : di traverso la tavola dei “padri” e lungo le pareti longitudinalmente i tavoli dei seminaristi a gruppi di 6 persone: per ogni gruppo un “capotavola” che doveva controllare il comportamento dei commensali: accanto al piatto di ciascuno una sottile fetta di pane
( per il capotavola invece c’era l’orcello del pane che è la parte iniziale o finale di ogni pagnotta e che ci sembrava più consistente!) Nel centro un leggio con pedana.
Ad ogni pasto per una parte del tempo c’era la lettura di brani religiosi fatta da uno di noi che stava in piedi sul leggio, poi il padre superiore dava un tocco di campanello facendo cessare la lettura e consentendo a tutti di parlare. Il Venerdì invece si stava sempre in silenzio.
Del cibo ricordo grandi scodelle di una specie di farinata che ci ossessionava ben tre volte al giorno (sì sono quasi certo che ce la
davano anche a colazione, magari dopo un bel cucchiaio di un repellente olio di fegato di merluzzo) e ogni tanto – e per noi era una vera festa – cioccolata ripiena di una specie di panna bianca (roba mandata dagli Americani). Non mi vengono in mente altre pietanze che certamente ci saranno state almeno ogni tanto.
Credo che i ragazzi di oggi stenteranno a credere ma il 19 Marzo del 1948 (o del 1947?) i padri ci portarono in Chiesa per uno speciale ringraziamento a San Giuseppe in quanto il padre economo (o il padre Superiore ?)avevano beneficiato di una amnistia dello Stato: era stato p eravamo avremmo divorato tutto il raccolto. In effetti ricordo bene che, nonostante la voglia, non ne toccai nemmeno un acino!

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